Dr. Andrea Adami
Consulente Finanziario Indipendente
Certificazione CFP di FPSB in corso
Educatore Finanziario Certificato AIEF
Consulente Patrimoniale ANCP
via garziere 11, 36013 - Piovene - R. (VI)
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PERCHÉ È SAGGIO EVITARE FONDI COMUNI, POLIZZE VITA ED ALCUNI FONDI PENSIONE Ott/22
- Cosa sono i fondi comuni di investimento
I fondi comuni sono uno degli investimenti principali degli italiani insieme alle polizze vita da investimento.
Arrivati in Italia nel 1984 hanno sicuramente alcuni pregi: in modo semplice è diventato possibile investire in qualunque asset (azioni, obbligazioni, materie prime, derivati e valute) e in quasi ogni angolo del pianeta e settore merceologico.
Ma il vantaggio principale è l’estrema diversificazione che consentono con la conseguenza che il rischio viene spalmato su centinaia di titoli diversi.
I pregi finiscono qui.
Sono a gestione attiva dato che prevedono la presenza di un gestore (ad esempio Blackrock, Schroders , J.P. Morgan, ecc.) che seleziona, compra, mantiene e vende quelli che reputa i migliori titoli da inserire nel fondo per cercare di ottenere un rendimento superiore a quello del mercato in cui investe (vale a dire il suo indice di riferimento o benchmark).
È proprio questo il suo obiettivo: battere il mercato di riferimento.
Ad esempio un fondo azionario USA dovrà ottenere un rendimento superiore a quello dell’indice S&P500, un fondo obbligazionario euro dovrà ottenere un rendimento superiore al relativo indice.
- Costi e Mifid II
Il gestore, e di conseguenza la banca che vi vende il fondo, vengono retribuiti automaticamente tramite commissioni che vengono prelevate direttamente e giornalmente dal vostro investimento senza che possiate accorgervene dato che il valore della quota è già al netto dei costi.
Una recente ricerca di Banca d’Italia afferma che 4 italiani su 5 non sanno come venga pagato il proprio consulente (bancario o promotore che sia) o crede sia un servizio gratuito.
L’industria del risparmio gestito, una delle più dinamiche e importanti al mondo, in realtà si fa pagare, eccome.
Solo che lo fa molto discretamente, per usare un eufemismo.
Solo a Taiwan ci sono fondi comuni più costosi.
Oggi il 47% degli utili delle banche italiane (fonte: Nafop) deriva proprio dalle commissioni sulla vendita di prodotti di investimento (fondi comuni, polizze vita, fondi pensione). E, non per niente, anche le Poste preferiscono di gran lunga proporre i propri fondi, polizze e PIP piuttosto che consegnare pacchi e lettere.
I fondi comuni hanno fino a 12 livelli di costo diversi di cui quello di ingresso è il più conosciuto ed evidente agli investitori e quindi sempre meno applicato, o meglio, sempre meno palesemente applicato.
Ben più determinanti (e lesivi) sul rendimento finale sono i costi di gestione annui e le commissioni di performance (subdole e spesso illegittime), ove applicate.
Con la Mifid 2 del 2018 (direttiva europea a tutela degli investitori, 2014/65/EU) si è cercato di migliorare la Mifid precedente riguardo la trasparenza dei costi, anche se c’è stato un enorme ostruzionismo di banche e reti di vendita relative che, prima hanno ritardato l’invio dei resoconti annuali, poi li hanno prodotti nel più pletorico e dispersivo modo possibile allo scopo di nascondere queste informazioni fondamentali per i propri clienti.
Tra l’altro i primi resoconti del 2018 sono arrivati durante le ferie di agosto, non a caso.
Perché i costi sono importanti?
Semplice: diversamente da qualsiasi altro bene o servizio dove un costo elevato è solitamente sinonimo di qualità elevata, in finanza alti costi (ed alta complessità dello strumento) equivalgono a bassi rendimenti futuri.
C’è una vastissima letteratura a riguardo che risale addirittura agli anni 60 in USA.
Il fallimento dei fondi comuni non è in discussione.
Ma facciamo un esempio pratico considerando un fondo emblematico (di una rete di vendita altrettanto emblematica) ed il mercato più importante al mondo, quello statunitense.
In 5 anni questo fondo azionario USA venduto da Mediolanum è costato al risparmiatore il 2.87% di spese correnti annuali, oltre all’1,5% di commissioni di entrata (per sottoscrizioni inferiori ai 25.000 €), per un totale spalmato nel periodo considerato di circa 3.2% all’anno.
In soldoni, investendo 10.000 € nel maggio 2018 fino ad oggi, si saranno pagati costi occulti per quasi 1.600 € la maggior parte dei quali senza saperlo in quanto già inclusi nel valore della quota.
L’effetto di queste commissioni è quello di ridurre i vostri guadagni o aumentare le vostre perdite.
E’ una zavorra che inevitabilmente pregiudica le performances.
I risultati dopo vari anni di investimento infatti si riveleranno molto deludenti in quanto l’impatto di costi così elevati risulta esponenziale, come si nota dalla forbice che si allarga sempre più tra i rendimenti del fondo (linea blu) a confronto con la media dei fondi simili (linea arancione), entrambe peraltro al di sotto dell’indice del mercato azionario USA (linea verde).
Già si nota quindi che il rendimento medio dei fondi attivi a 5 anni è inferiore all’indice.
I gestori non hanno quindi fatto il loro dovere.
Vediamo ora nel dettaglio rendimenti e indicatori di rischio principali del fondo (linea rossa) dal 16/5/2018 (storico massimo comune) a confronto con l’indice del mercato replicato perfettamente dall’ ETF di Ishares (linea blu).
Investendo 10.000 € nel maggio 2018 fino ad oggi la cifra finale, al lordo delle tasse, sarebbe:
- 14.157 € con il fondo (8,22% annuo appunto)
- 17.480 € con l’ETF (13,53% annuo)
Significa che il mercato (replicato dall’ETF) ha restituito agli investitori 3.323 € in più (pari al 33% del capitale iniziale) cioè 80 % in più del fondo che si è, zitto zitto, intascato la “paghetta”.
Sembrerebbe che, rischiando soldi non suoi, il fondo abbia guadagnato quasi quanto il cliente, che ci ha messo i soldi e sopportato il rischio.
In realtà, secondo lo studio del Corriere Economia citato da Report, puntata del 17/10/2016 (clicca per il link), è proprio così …
Per completezza: il costo del fondo Mediolanum in 4.5 anni è 1.600 €, il costo dell’ETF soli 60 € (35 € di gestione, 10 € di spread, 15 € di negoziazione).
Perché una differenza di costo di circa 1.540 € comporta una differenza di rendimento complessivo di ben 3.323 € (il 33.23% in più (74.80% - 41.57%)?
Semplice: i maggiori costi creano un circolo vizioso e mortificano (quando non lo annientano) il meccanismo dell’interesse composto.
Perché gli ETF costano così poco?
Perché sono fondi passivi (non c'è un gestore), creati negli anni 70 in USA e arrivati in Italia nel settembre del 2002, il cui scopo è esclusivamente e semplicemente replicare l’indice del mercato in cui investono.
Sono privi di commissioni (per questo non vengono mai proposti) quindi hanno costi irrisori.
Ne parlerò in dettaglio in un prossimo articolo.
Se però avessi chiesto all’investitore di questo fondo se era soddisfatto del rendimento ottenuto negli ultimi anni, mi avrebbe certamente risposto affermativamente:
“certo, ho guadagnato l’8.22% annuo, i miei 10.000 € sono diventati ora 14.157”.
Inoltre sarebbe soddisfattissimo dello zelo inimitabile e della capacità di coccolare i propri clienti da parte di Mediolanum: tornei di golf, eventi mondani, pubblicità ovattate e rassicuranti in TV e nei giornali, marketing ai massimi livelli, cameratismo instancabile tendente all'affetto da parte dei “consulenti” nel frattempo diventati amiconi … ecc. ecc.
Ma se lo stesso investitore sapesse che è possibilissimo (e si dovrebbe sempre fare) analizzare e valutare oggettivamente l’operato dei propri investimenti (siano fondi comuni, polizze, fondi pensione) confrontandoli con un semplicissimo ETF (acquistabile in qualsiasi banca o con un click dal proprio salotto, essendo quotato in Borsa in tempo reale) che replica i più diversi mercati e che avrebbe guadagnato il 13.53% l’anno (3.323 € in più) la risposta sarebbe la stessa?
Per qualsiasi altro bene e servizio che dobbiamo acquistare spesso, giustamente, ci informiamo, giriamo, chiediamo lo sconto, cerchiamo il miglior rapporto qualità / prezzo.
Per i propri investimenti invece tutto ciò solitamente non si fa.
Non è difficile analizzare e valutare oggettivamente e al centesimo uno strumento finanziario eseguendo un semplice back test e rendersi quindi conto di quanto sia anti economico e spesso dannoso per l’investitore utilizzare questi prodotti.
E’ assolutamente necessario farlo perché è tanto difficile mettere soldi da parte quanto facilissimo investirli nel modo sbagliato. Regalandoli.
Secondo varie ricerche, nei più disparati mercati e negli archi temporali più o meno estesi (più tempo passa maggiore è il danno per l’investitore), il fallimento dei fondi nel loro obiettivo di battere i mercati e creare così extra rendimento per i loro sottoscrittori è sotto gli occhi di tutti. Almeno di chi vuol vedere.
- Ma gli ETF sono più rischiosi?
Spesso bancari e promotori “astuti”, a chi manifesta l’incauta intenzione di investire in ETF (per sentito dire o perché ha letto qualcosa), rispondono con arroganza e sufficienza:
“eh, guarda che gli ETF sono più rischiosi”.
Se guardate i numeri nel riquadro rosso della prossima figura potete verificare che la volatilità, una delle misure del rischio, è simile (in realtà è leggermente più bassa per l’ETF) e che gli altri due indicatori principali che misurano la performance del fondo corretta per un indicatore di rischio sono entrambi abbondantemente a favore dell’ETF.
Significa che si è ottenuto un rendimento molto maggiore rischiando meno.
In realtà quindi è vero proprio il contrario di quanto raccontato dai detrattori degli ETF.
Estendiamo un po’ l’analisi ad altri fondi comuni molto venduti sia di provenienza bancaria (Banca Intesa, BCC) che di rete (Fideuram e la solita Mediolanum) e confrontiamoli con il relativo benchmark rappresentato dal solito ETF di Ishares dal maggio 2018. IShares è l’emittente mondiale principale, niente di esotico o strano dato che è di proprietà di Blackrock, la casa di gestione di fondi comuni più grande al mondo.
Per ognuno riporto costi e breve valutazione qualitativa.
I costi dei fondi variano dall’ 1.97% al 2.22% più eventuali e probabili commissioni di entrata.
Se ci pensate, pagare una commissione per dare i propri soldi a qualcuno già è bizzarro, ma pagare ulteriori costi per ottenere molto meno di quello che il mercato offre è davvero frustrante.
Eppure è dal 1984 che succede, nel frattempo banche e promotori ringraziano.
Il costo dell'ETF è lo 0.07% ...
A conferma: articolo del sole24ore del 2017: il 93.4% dei fondi comuni non batte l’indice S&P500.
Solo 10 fondi su 152 riescono a battere il mercato (e quindi l’ETF che lo replica).
L’articolo però non dice una cosa importante: di questi 10 fondi una buona parte è riservata agli istituzionali, non al pubblico retail.
Ergo: investire nel mercato più importante al mondo tramite i fondi comuni è sbagliato.
Di seguito si apprenderà che la stessa cosa accade anche in altri mercati e in altre asset.
Inoltre, più si allunga l’analisi temporale peggio i fondi comuni si comportano rispetto all’indice (e quindi all’ETF che lo replica). Questo perché i costi elevati si comportano esattamente all’opposto dell’effetto benefico dell’interesse composto (interesse che produce a sua volta interessi).
Abbiamo quindi visto che le commissioni possono decimare la redditività di qualunque investimento ed aumentare notevolmente i rischi di perdita ed è per questo che conoscerle e contenerle è fondamentale, è quindi importante che vi chiediate: quanto mi costano i fondi che mi hanno venduto in banca?
Se non lo sapete è bene che lo scopriate al più presto, più aspettate e più continuerete a pagare commissioni guadagnando meno di quanto dovreste, se non addirittura perdendo soldi. Infatti, come nell’esempio fatto, è vero che avete guadagnato ma potevate guadagnare molto di più: in effetti avete perso soldi (in mancato guadagno).
Non avendo strumenti, siamo portati a valutare i nostri investimenti basandoci semplicemente sul loro andamento: se il loro valore sale siamo soddisfatti pensando di aver fatto un buon investimento e viceversa. Purtroppo questo modo di valutare i fondi comuni è totalmente fuorviante: come abbiamo visto, anche se il loro valore sale, questo non vuole affatto dire che i fondi in cui abbiamo investito siano di buona qualità e che stiamo guadagnando quanto dovremmo.
Oltre al rischio di mercato si aggiunge il rischio gestore cioè il rischio molto frequente, diventato ormai una norma, di una scadente gestione del fondo.
- Ma essendoci un gestore attivo, in caso di crisi?
Oltre a dover fare meglio del mercato (impresa fallimentaria) il secondo cavallo di battaglia sbandierato dai paladini dei fondi attivi (pochi ed essenzialmente solo i loro creatori e distributori) sostengono che in caso di shock o crolli del mercato la capacità dei gestori di intervenire, la loro esperienza, il loro tempismo permetteranno di ottenere la rivincita rispetto ai fondi passivi (gli ETF) per cui l’investitore rischia meno e quindi perde meno.
Sotto l’andamento da inizio 2022 dei nostri 4 eroi (i massimi storici sono stati raggiunti gli ultimissimi giorni di dicembre 2021):
Non solo hanno fatto peggio dell’ETF ma anche con una volatilità maggiore.
Di seguito riporto articoli simili in tempi di covid, dove un bravo gestore avrebbe sicuramente dovuto fare la differenza.
Nel caso qualcuno si chiedesse se quanto sopra sia solo una mia opinione o se ho deliberatamente considerato i fondi peggiori o trafficato con numeri, date, o chissà che altro, invito a proseguire la lettura: si troveranno conferme autorevoli e due mie analisi sui migliori fondi delle due più grandi reti di vendita italiane, Fideuram (Gruppo Intesa) e Mediolanum.
- Alcuni studi molto famosi sull’inefficienza dei fondi comuni
Nel corso degli ultimi 60 anni innumerevoli studi hanno ampiamente dimostrato che per un gestore è quasi impossibile battere il mercato, dopo avere addebitato tutte le commissioni, e che la maggioranza dei fondi comuni offre ai risparmiatori rendimenti inferiori a quelli di mercato.
Negli ultimi 10 anni ben l’87% dei fondi azionari europei (clicca per il collegamento) ha reso meno del mercato, spesso di parecchio, e anche le altre tipologie di fondi hanno fatto registrare risultati analoghi: banche e gestori non riescono quasi mai a generare valore per l’investitore e a meritarsi così le commissioni che si prendono.
I dati completi sulle performance dei fondi rispetto al mercato, suddivisi per settore e geografia, sono consultabili nelle analisi pubblicate, tra gli altri, da S&P Dow Jones Indices (clicca per il collegamento).
Sia qui che nella mia pagina Facebook si possono poi trovare centinaia di articoli e report.
Studi americani:
Tabella di sinistra: obbligazionario, a destra l'azionario.
Per semplificare la lettura:
- le barrette rosse rappresentano i casi in cui i fondi sovraperformano il rispettivo mercato.
Studi italiani:
Riporto 3 estratti dell’annuale e storica "Indagine sui fondi comuni e SICAV venduti in Italia” dell’ Ufficio Studi di Mediobanca:
- Indagine 1984/2013: “(…) una distruzione di valore pari a circa 86 miliardi di € nell’ultimo quindicennio
- Indagine 1984/2016: “L’industria dei fondi continua a rappresentare - in un orizzonte temporale di lungo periodo – un elemento distruttivo di ricchezza per l’economia del paese”.
- Indagine 1984/2017: “L’industria dei fondi continua a rappresentare un apporto distruttivo di ricchezza per l’economia del paese” (…) “Questi risultati rispecchiano le politiche di impiego liberamente scelte dai gestori (e accettate dai risparmiatori i quali sono consigliati il più delle volte dai promotori e dalle banche). (…) “Il raffronto con l’industria finanziaria americana conferma ancora che i fondi italiani sono assai costosi.”
E’ una banca che afferma ciò.
Questa indagine annuale, partita nel 1984, nel 2019 è stata soppressa.
Troppo scomoda? Sicuramente.
Anche se pochi la conoscevano, visto che si continua ad investire con gli strumenti sbagliati. E a perdere soldi.
- La soluzione è investire nei fondi migliori?
“Ma ci saranno fondi che battono il loro mercato e quindi gli ETF relativi, basterebbe investire solo nei fondi 5 stelle Morningstar per esempio. Il mio promotore mi propone solo fondi 5 stelle”.
Non basta.
Il cosiddetto fenomeno della Mean Reversion (ritorno alla media) è frequente in finanza e influenza anche il comportamento dei fondi e dei gestori.
Immaginate un gruppo di corridori con in testa i pochi fondi comuni che fanno meglio dell’indice di mercato (ETF) immediatamente alle loro spalle e la stragrande maggioranza che arranca dietro.
La persistenza che caratterizza i fondi migliori dura molto poco e in pochi mesi / anni quelli che erano i migliori scalano inesorabilmente nelle retrovie.
I peggiori invece solitamente restano in coda anche perché appesantiti troppo dai costi elevati e spesso vengono chiusi o fusi con altri della stessa casa per nasconderli agli occhi dei potenziali investitori.
- Ma i fondi comuni fanno male sempre e ovunque?
La mia analisi non sarebbe onesta e corretta fino in fondo se non parlassi anche dei rari casi in cui i fondi invece battono più frequentemente il mercato.
Succede soprattutto in mercati poco evoluti, esotici o di nicchia dove un bravo gestore può ancora fare la differenza.
Nei mercati maggiori e conosciuti risulta quasi impossibile anche per caratteristiche tecniche che non sto a spiegare qui e soprattutto perché il gestore deve fare risultato in tempi brevi per essere premiato dai loro committenti o dai loro superiori.
Allora perché gli investitori continuano a investire tramite questi strumenti e a fidarsi ciecamente di quanto viene loro proposto dalle banche?
Per tre motivi principali:
- La banca viene ancora vista da una posizione subalterna, di inferiorità, come un’entità superiore, invece la si dovrebbe considerare come un negozio qualsiasi e come mero strumento per le proprie necessità.
- La scarsa educazione finanziaria che non ci permette di fare le dovute analisi, valutazioni e confronti (secondo la ricerca di Global Financial Literacy Excelence Center, l’Italia è al 63° posto al mondo come preparazione finanziaria, dietro Togo e Benin …) e questo comporta che l’investitore, non avendo le competenze e la cultura necessarie per effettuare scelte finanziarie consapevoli ed avvedute, si fidi e sottoscriva qualunque prodotto gli venga proposto, dai diamanti alle azioni e obbligazioni di banche, di stati (Argentina) ed di aziende (Cirio, Parmalat, ecc.) sull’orlo del fallimento, oltre ai loro costosi ed inefficienti prodotti.
- Ma soprattutto non sanno che alternative molto migliori esistono.
Qual è il primo fondamentale passo che l’investitore deve assolutamente fare?
Accrescere la propria cultura finanziaria, sicuramente.
La mia esperienza racconta che però sono pochissimi gli interessati.
Ci si lamenta dei 2 centesimi del sacchetto biodegradabile, ci si affanna a ottenere lo sconticino dal negoziante o dal fornitore, ci si informa su pro e contro di auto e cellulari ma per le proprie finanze personali, ben più importanti, ci si illude che vada tutto bene o che non ci siano problemi.
Si delega. Ci si fida. Ci si disinteressa. Più comodo non sapere.
Uscire dalla propria zona di confort, imparare, conoscere, ragionare diventa un’impresa impossibile.
E gli intermediari finanziari prosperano.
La finanza personale è una cosa complessa che necessita un minimo di impegno, riflessioni e analisi ma non è scienza missilistica. Basta davvero poco per migliorare tantissimo.
Non si ha la voglia, il tempo, le capacità di gestirla in prima persona? Si preferisce delegare?
Si deleghi però alle persone giuste, a chi ha le giuste competenze ed esperienze e soprattutto a chi non è in conflitto di interesse.
- Non è finita qui, mi dispiace ma c’è di peggio
Sulla base dei fondi comuni “tradizionali”, banche e SGR, mai sazie, si sono sbizzarrite creando altri tipi di fondi, ancora più costosi ed inefficienti.
Fondi a Cedola o a Scadenza: prevedono un periodo di sottoscrizione limitato, il pagamento di cedole prefissate ed una scadenza finale: sono stati creati così appositamente per farli assomigliare ad un BTP (vecchia conoscenza dell’investitore italiano), in modo da poterli vendere come se potessero esserne un sostituto migliore. Purtroppo non è così.
La banca vende questi “fondi a cedola” dicendo che non ci sono commissioni di sottoscrizione, che invece vengono addebitate lo stesso senza che possiate accorgervene essendo spalmate negli anni o costruite con un sistema a tunnel, dopo 5 anni il costo di uscita sembra azzerarsi ma in realtà lo avete già pagato restando nel fondo ed uscire prima anticipa solamente quanto paghereste rimanendoci.
Spesso poi questi fondi confluiscono automaticamente in altri fondi della casa con altre commissioni ancora, in un orribile circolo vizioso.
Ma non basta, c’è anche la beffa: le future “cedole” che riceverete, se il fondo non rendesse sufficientemente, non saranno un vero rendimento quanto piuttosto un rimborso parziale dello stesso capitale che avete investito inizialmente, una mera restituzione dei vostri stessi soldi, su cui però ci dovrete anche pagare la ritenuta fiscale.
Oltre al danno (vari costi per un vantaggio e rendimento inesistenti) la beffa: pago le tasse su soldi già miei che non hanno generato rendimento.
Infine, contrariamente a quanto potreste credere pensando ai BTP, non c’è nessuna garanzia di ottenere a scadenza la restituzione della somma investita inizialmente.
In sintesi, sono fondi infarciti di commissioni, che di solito non rendono nulla e che sono ulteriormente penalizzati dall’incredibile inefficienza fiscale.
Fondi di Fondi
Sono fondi che, anziché investire in titoli, investono a loro volta in altri fondi comuni: vi vengono quindi addebitate doppie commissioni, quelle del fondo di fondi e quelle dei fondi comuni sottostanti, un raddoppio di costi che peggiora ulteriormente il profilo di rischio/rendimento del vostro investimento.
Di solito la banca vi menziona solo il primo costo, quello del fondo principale, “dimenticando” di avvisarvi che sui fondi sottostanti ci sono altri costi aggiuntivi.
Gestioni Patrimoniali in Fondi
Investono anch’esse in fondi comuni e quindi anche in questo caso le commissioni le pagate due volte, sia sulla gestione patrimoniale che sui fondi comuni sottostanti.
Anche qui la banca di solito vi comunica (se lo fa) solo il costo della gestione patrimoniale e mai quello dei fondi sottostanti.
È quindi fondamentale che capiate cosa vi hanno venduto, quante commissioni state pagando e se state guadagnando quanto dovreste.
Polizze vita
Negli ultimi anni le compagnie assicurative non hanno perso tempo a tuffarsi nel ricco business del risparmio gestito per cui, accanto alle storiche gestioni separate (Ramo 1°), hanno aggiunto le multiramo e le unit linked infarcendole degli stessi fondi comuni di cui sopra (spesso della casa) con le stesse problematiche di duplicazioni dei costi visti sopra per le gestioni patrimoniali e i fondi di fondi, con l’aggravio dell’inefficienza fiscale e di costi di apertura, riscatto (cioè estinzione) e vincoli molto più onerosi e dannosi dei fondi comuni.
Queste polizze sono onnipresenti nelle famiglie italiane e tremendamente dannose.
Commissioni di performance
È uno dei 12 costi che possono essere presenti nei fondi comuni ed è senza dubbio il più subdolo ed emblematico del fatto che i fondi comuni vengono costruiti ad arte per racimolare quante più commissioni possibili e rappresentano una fetta consistente dei profitti degli intermediari finanziari.
Le commissioni di performance sono nascoste ad arte in strutture di remunerazione opache o in ingegnerie finanziarie fantasiose, inglobate ex post nel valore della quota per cui ex ante non si saprà mai il costo effettivo del vostro fondo.
Rappresentano uno dei costi maggiormente variabili, occulti e quindi potenzialmente più lesivi.
Sono prelevate dalle società di gestione in base ai risultati conseguiti dal fondo, quindi all’overperformance ottenuta rispetto al benchmark di riferimento.
- 1a criticità: periodicità con cui vengono prelevate, maggiore la periodicità, maggiori le commissioni. Se le commissioni sono prelevate con cadenza mensile, il risparmiatore le pagherà tutti i mesi in cui si registra una performance positiva (o superiore al benchmark).
Banca d’Italia impone il pagamento delle commissioni di performance su intervalli non inferiori a 12 mesi. Banca Mediolanum ha così spostato la sede legale in Irlanda, fuori dalla giurisdizione di BI, e per anni ha utilizzato la cadenza mensile.
- 2a criticità: la scelta (spesso arbitraria e scorretta) del benchmark di riferimento, più è facile da superare maggiori sono le occasioni di addebitare questi costi. Ci sono fondi azionari che non considerano il benchmark naturale del mercato di riferimento (abbiamo visto che non lo superano quasi mai) ma addirittura considerano l’Euribor … bassissimo e facile da battere ma che non c’entra nulla con un investimento azionario.
Finte gestioni attive
Ci sono poi fondi che si comportano come cloni: fingono una gestione attiva ma in realtà al loro interno sono presenti ETF, quegli stessi ETF che spesso in banca o disconoscono o denigrano, facendo credere siano più rischiosi dei fondi comuni. Peccato però che poi applichino i tipici costi dei fondi attivi mentre in realtà perseguono una gestione passiva.
Le due più grandi reti di vendita italiane: Mediolanum e Fideuram
Per quanto riguarda le due maggiori reti di vendita italiane, Mediolanum (oltre 4200 promotori) e Fideuram (oltre 3600), rispettivamente nel dicembre 2021 e nell'ottobre del 2022, ho fatto due brevi analisi comparando i migliori fondi 5 stelle morningstar di entrambi con il relativo mercato.
Non mi sono certo messo dalla parte del manico ...
Analisi fondi Mediolanum (dic/21)
Dei 236 fondi Mediolanum solo 2 hanno 5 stelle Morningstar (lo 0.84%):
Sono fondi bilanciati globali (sono lo stesso fondo ma con costi diversi, dipende da quanto il piazzista vuole guadagnarci … a danno del suo cliente) con una ripartizione 85% azionario e 15% obbligazionario.
Confrontandoli con un ETF bilanciato globale di Vanguard (linea arancione, in borsa italiana dal dicembre 2020) ma con 80% azionario e 20% obbligazionario (quindi leggermente meno rischioso e potenzialmente meno performante), questi i risultati:
In quasi 2 anni il mercato ha dato un rendimento positivo del 7% (10.000 € sono diventati 10.706 €), i due fondi migliori di Mediolanum sono riusciti addirittura a perdere soldi, -13% (10.000 € sono diventati 9.260 €) ...
Una differenza di 1.446 € in nemmeno due anni.
Certamente i costi annuali del 3.71% e del 3.1% non aiutano.
L’ETF ha un costo dello 0.25% annuo …
Questi sono i migliori ...
Analisi fondi Fideuram (ott/22)
Dei 267 fondi Fideuram solo 4 hanno il massimo dei voti (l'1.5%).
Nell’analisi che segue metto a confronto questo fondo azionario europeo (linea blu) con l’ETF che replica il relativo indice (linea rossa) e con un ETF che solitamente raccomando (linea azzurra).
Non è un fondo pessimo, tutto sommato.
In 11 anni e mezzo il mercato ha dato un rendimento positivo dell’ 87% (10.000 € sono diventati 18.693 €), il fondo di Fideuram ha portato a casa il 63.5% (10.000 € sono diventati 16.350 €) con una differenza di 2.350 €.
Abbiamo visto che c’è di peggio, giusto?
Insomma … per poter investire in questo fondo con costi non esagerati (1.51%), bisogna avere almeno 2 milioni di €.
E’ un fondo destinato ad istituzionali o a clienti facoltosi.
Per importi minori ci sarà lo stesso fondo, uguale ma diverso, cioè con costi maggiori che deprimeranno inesorabilmente i rendimenti.
Infatti uno stesso fondo può avere denominazione e caratteristiche commissionali molto diverse, e i relativi diversi rendimenti.
Per la cronaca, il fondo azionario europeo che di solito raccomando ha realizzato quasi un + 103%.
Sotto una mia analisi del 2016 su 4 fondi di Blackrock (20 versioni diverse dello stesso fondo) considerando solo 4 diversi livelli commissionali in base a chi dovranno essere poi venduti.
Solitamente agli istituzionali vengono piazzati i fondi con i costi minori (e conseguentemente i rendimenti migliori), al retail i fondi più costosi e con i peggiori rendimenti.
Qui è lampante come i costi maggiori pregiudichino inesorabilmente i rendimenti.
IL DISASTRO DELLE POPOLARI VENETE. QUALE INVECE LA VERA CATASTROFE? - SET 22
Qualche giorno fa ho incontrato un ex collega di lavoro che si meravigliava del fatto che la gente si intestardisse a dare fiducia alle banche soprattutto dopo le vicende delle popolari.
Quanto successo nel 2015 è stato sicuramente una tragedia economica e sociale per molte famiglie ed aziende ma non è stato il male peggiore.
Come mio solito cerco di usare i numeri e la logica. Allerta spoiler: non sono belle notizie.
Con il fallimento della popolare di Vicenza e di Veneto banca oltre 206.000 risparmiatori hanno perso rispettivamente 8.7 e 6.5 miliardi (Fonte: Milano Finanza).
15 miliardi e 250 milioni.
Tantissimi, ma si tratta di un episodio singolo, una tantum, capitato una sola volta.
Tenete a mente questa cifra, 15 miliardi.
1- Inflazione e depositi infruttiferi
Da dati di ABI del 2022 ci sono 1.860 miliardi parcheggiati nei conti correnti, quindi infruttiferi. Tantissimi.
Con l’intenzione dichiarata dalla BCE di ritenere corretto un livello di inflazione del 2%, 100.000 € fermi sul conto corrente subiscono una perdita di valore del 10% in 5 anni, del 19% in 10, del 33% in 20, della metà in 34 anni (considerando un’inflazione annuale costante del 2%).
Significa che in un anno un’inflazione al 2% si mangia 37 miliardi.
Più del doppio di quanto perso con le 2 popolari.
Ogni anno. Non una tantum.
Con l’inflazione al 2%. A settembre l’inflazione su base annua in Italia è dell’8.9%.
Questo è uno dei motivi per cui è assolutamente necessario investire.
Un altro, importantissimo motivo, indipendentemente dal livello di inflazione, è l’opportunità di partecipare alla naturale tendenza al rialzo dei mercati finanziari. Basta imparare a sopportarne le naturali oscillazioni. E qualche altra cosuccia.
Sotto la differenza di rendimento delle principali asset class dell’investitore statunitense a 5, 10 e 20 anni in quasi 120 anni di storia dei mercati e il confronto con chi non ha investito subendo passivamente l’inflazione.
Ma come investire?
Andando in banca? O in Posta? Dal promotore? Stipulando una polizza dall’amico assicuratore?
Qui c’è un altro problemino.
2- Costi medi nel risparmio gestito
La ricchezza degli italiani, secondo il report di Banca d’Italia del 2019, ammonta a 10.000 miliardi, di cui circa la metà sono immobili e 1.600 miliardi sono investiti nel cosiddetto risparmio gestito (fondi comuni di investimento, polizze vita e fondi pensione) cioè tutto ciò che viene venduto da banche, promotori finanziari (cioè agenti di commercio, che dal 2018 sono riusciti a farsi definire “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede”, per brevità “consulenti”, in realtà venditori che vivono delle generose commissioni ben nascoste nei prodotti che piazzano) ed assicuratori.
Secondo varie fonti (riporto solo IlSole24ore) i costi occulti di gestione dei fondi comuni di investimento venduti in Italia ammontano tra l’1.5% e il 2.5%.
In medio stat virtus, dicevano i Romani, quindi consideriamo il 2% ma ci sono fondi che arrivano al 5% (inoltre i fondi meno costosi di solito non sono accessibili al pubblico retail), polizze e gestioni patrimoniali anche oltre.
Il 2% di 1.600 miliardi equivale a 32 miliardi.
Più del doppio dei 15 miliardi persi con le popolari.
Il punto dolente è che questi 32 miliardi escono dalle tasche dei cittadini (inconsapevolmente) ogni anno.
Se uno strumento finanziario ha un costo occulto elevato (e le onnipresenti polizze costano molto più dei fondi) la conseguenza è che il capitale realmente investito viene ogni anno decurtato di tale importo che non produce alcun rendimento per l’investitore mentre è manna dal cielo per gli intermediari finanziari.
Uno studio del Corriere della sera, ripreso da Report nella puntata del 17/10/2016 (clicca per visitare la pagina), ha analizzato il rendimento dei fondi comuni venduti in Italia nel decennio 2001/2012: sono 142 miliardi.
Bene, vi pare giusto che gli investitori (che hanno messo i loro soldi e sopportato il rischio finanziario) di questi 142 miliardi abbiano racimolato solo 57 miliardi (il 40%) mentre le banche (che non hanno rischiato nulla e senza metterci un euro) ben 85 (il 60%)?
La Gabanelli (santa subito) nella stessa puntata afferma: “quando il divario è così ampio si chiama furto”.
Questo 2% è tanto? Troppo?
Decisamente sì. Solo a Taiwan ci sono strumenti più costosi.
Il costo di gestione di cui si parla è però solo uno dei tanti (ben 12, tra cui il più evidente è il costo di sottoscrizione o ingresso, così evidente che ormai è in disuso o camuffato ad arte) che l’investitore non sa di pagare perché già sottratto dal valore della quota posseduta.
I famosi 32 miliardi annui quindi in realtà sono molti di più.
La domanda ragionevolmente conseguente è:
“ma fondi e polizze si faranno pagare così tanto perché danno un servizio, producono ricchezza per chi li sottoscrive. A chi importa quanto costano se poi rendono?”.
La risposta è inesorabile: NO, non producono ricchezza. Almeno non per i clienti.
Producono ricchezza, e tanta, solo per chi costruisce il fondo (il gestore) e per chi lo piazza (banche e promotori finanziari, in seconda battuta assicuratori e vari fondi pensione aperti e PIP).
Concludo riportando 3 estratti dell’annuale e storica indagine sui “fondi comuni e SICAV venduti in Italia” (clicca per visitare la pagina) dell’ Ufficio Studi di Mediobanca:
- Indagine 1984/2013: “(…) l’industria dei fondi genera una distruzione di valore pari a circa 86 miliardi di € nell’ultimo quindicennio”.
- Indagine 1984/2016: “L’industria dei fondi continua a rappresentare - in un orizzonte temporale di lungo periodo - un elemento distruttivo di ricchezza per l’economia del paese”.
- Indagine 1984/2017: “L’industria dei fondi continua a rappresentare un apporto distruttivo di ricchezza per l’economia del paese (…) questi risultati rispecchiano le politiche di impiego liberamente scelte dai gestori (e accettate dai risparmiatori i quali sono consigliati il più delle volte dai promotori e dalle banche). (…) Il raffronto con l’industria finanziaria americana conferma ancora che i fondi italiani sono assai costosi.”
E’ una banca che afferma ciò. E ogni tanto nemmeno i giornali finanziari possono esimersi.
Non sono opinioni di qualche consulente indipendente (siamo poche centinaia contro oltre 55.000 promotori finanziari) che non vende nulla ma si limita ad erogare l’unica vera consulenza e l’unica educazione finanziaria, in perfetto allineamento di interessi con il proprio assistito.
Questa indagine annuale, partita nel 1984, nel 2019 è stata soppressa …
Nel prossimo articolo parlerò più approfonditamente dei fondi comuni e delle alternative efficienti.